Quando anche dalla F1 si può imparare a crescere come ‘persone vere’…

Il Gran Premio di Singapore, 13ma prova del Mondiale di Formula 1 2013, ha avuto le solite monotonie. Su tutto una cosa mi ha colpito l’atteggiamento di Kimi Raikkonen nei confronti della gara superlativa che ha fatto portandolo dal 13mo a terzo.

Kimi Raikkonen Terzo classificato al GP di Singapore 2013
Kimi Raikkonen Terzo classificato al GP di Singapore 2013

In pratica Kimi (*) ha minimizzato in merito al dolore alla schiena che nelle prove del sabato quasi lo aveva impossibilitato a fare le prove di qualifica (da notare che a Singapore di questi tempi il caldo e l’umidità fanno si che dentro un abitacolo di Formula 1 si giunga ad avere una temperatura corporea anche di 50 gradi!); inoltre ha minimizzato le dinamiche di un suo sorpasso ai danni di Button che tutti hanno evidenziato come una super manovra.

Kimi, come la maggior parte dei piloti di Formula 1, ha un ego spropositato (altrimenti non sarebbe lì) ma é proprio questo che rende ancora più interessanti e mature le sue considerazioni. Quanti piloti al top non appena possono trovano uno spunto per lamentarsi o giustificarsi assicurandosi altresì  di sottolineare in pompa magna qualsiasi minimo risultato che raggiungono?

Vuoi vedere che Kimi ‘Ice Man’ (il soprannome di cui va fiero e che sottolinea la sua freddezza e scarsa propensione verso il comunicare) ci sta dando una lezione a tutti (senza volerlo e senza secondi fini, perché chi lo conosce da vicino afferma che ‘Se lo informano che casca il mondo fra 5 minuti lui replica serenamente “Ok mi sposto un po’ più in là” ‘). Riuscirà questo suo atteggiamento a portare un po’ di aria fresca nella ultra politicizzata e noiosa Scuderia Ferrari di oggi?

Meditiamo sul significato concettuale e pratico del rapportare tutto questo alla vita di tutti i giorni…

(*) intervista tratta dal sito web di AUTOSPORT 22.9.13 

 

RUSH, THE MOVIE! sarà INNOVAZIONE?…

Il film Rush (www.rushmovie.com) sarà un esempio di INNOVAZIONE SE sarà avrà successo commerciale nell’incorniciare in modo creativo fatti realmente accaduti…

'Rush' il film - 19 settembre 2013
‘Rush’ il film – 19 settembre 2013

Ron Howard ci ha provato, probabilmente per la maggior parte del pubblico sarà un mega film, per noi appassionati e ‘cultori’ del tema (e in particolare dell’indimenticabile campionato del 1976) la creatività sarà messa maggiormente a dura prova… e se la creatività non riscuote successo non si trasforma in innovazione (il libro approfondisce…).

INNOVARE facendo leva su amicizie vere…

Il titolo di una sezione del libro: INNOVARE Coltivando un reciproco senso di fiducia professionale. “Issigonis e Cooper.

Mini Cooper S vittoria al Rally di Montecarlo 1964, '65 e '67
Mini Cooper S vittoria al Rally di Montecarlo 1964, ’65 e ’67

Un’amicizia alla base di un ‘progetto estremo’ di successo: la Mini Cooper S”…

Un umanista in azienda

Quattro mosse per integrare risorse, energie ed esperienze, generando valore nelle percezioni del cliente

(scritto con Pino Casamassima)

Francesco Datini (1335 - 1410)
Francesco Datini (1335 – 1410)

Nel corso degli anni Settanta si sviluppò in Italia un vivace dibattito sulle cosiddette due culture – la umanistica e la scientifica – che generò anche un libro, edito da Einaudi, che perimetrava i contorni di questa dicotomia culturale. Una dicotomia rappresentativa di una società che andava – correva – verso la iperspecializzazione, con la cultura scientifica a ritenersi sempre più primus inter pares. Questo percorso alla fine produsse centurie di professionisti iperspecializzati nella loro nicchia “di mestiere” ma del tutto incapaci di allargare il loro raggio culturale nemmeno nell’ambito della loro formazione di base. Crebbero così ingegneri meccanici incapaci non solo di discutere di letteratura italiana, ma perfino di ingegneria edile, chimici non solo incapaci di argomentare in campo architettonico, ma nemmeno in ambito biologico, per non parlare dei medici che – dismesso il camice del “generico” di famiglia, «buono per ogni problema», anche di carattere psicologico – divennero smistatori per gli “specialisti” e spacciatori di prescrizioni, nonché di ricette. Che fare? Di seguito, indichiamo 4 punti coi quali deve confrontarsi l’azienda moderna.

1. La fabbrica degli specialisti. La società nata alla fine degli anni Sessanta era “spaccata a metà fra cultura umanistica e cultura scientifica, ed ebbe il suo nucleo “naturale” di gestazione nella scuola, che divenne quindi la fabbrica degli iperspecialisti.
Le aziende, che in quei periodi si confrontavano con mercati ancora immaturi o emergenti (in cui era spesso sufficiente assicurare la propria presenza in termini quantitativi per ottenere margini di resa anche molto consistenti), credettero di trovare nella figura dell’iperspecialista l’elemento centrale di una crescita centrata sull’iperspecializzazione, all’insegna dello slogan «ciò che conta è produrre». Una strada scivolosa che non considerava né le dinamiche interne a un mercato sempre in evoluzione (sempre più affollato in termini di competizione), né quelle esterne, rappresentate da paesi emergenti destinati a una produzione da Pil a due cifre: un percorso inizialmente sottotraccia, invisibile a chi aveva una visione offuscata dalla iperspecializzazione e dalla totale mancanza di una figura che all’interno dell’azienda riuscisse a intercettare sociologicamente i cambiamenti della società. In una parola, mancò l’umanista. Ciò finì col produrre una società parziale, monca; una società che a livello aziendale ha prodotto guasti riversatisi poi sulla stessa produzione. In definitiva, nel corso dei decenni successivi, abbiamo assistito al proliferare nelle imprese di figure professionali incapaci di guardare oltre il proprio naso, incapaci di relazionarsi con i colleghi e, spesso, con l’esterno, tanto da far germogliare sempre più la gramigna della cattiva comunicazione sia interna che esterna (a discapito della produzione, e quindi del profitto).

2. Il contesto globale. In un mercato globale sempre più complesso, maturo e selettivo è quindi suicida fossilizzarsi sulla produzione, perché mercati sempre più larghi, oltre che più maturi e selettivi, pretendono qualità, flessibilità, servizio, competitività. Di conseguenza, le aziende devono porsi nella prospettiva di operare sulla base di un unico concetto chiave: quello di creare valore aggiunto nelle percezioni del cliente nell’ottica del doppio profilo economico e sociale. Questa filosofia aziendale non può essere gestita da figure iperspecializzate (isolate rispetto al resto del contesto aziendale e spesso inconsapevoli della complessità delle molteplici dinamiche con cui l’azienda deve confrontarsi), ma da un professionista della comunicazione (dotato di cultura umanistica/sociologica): una efficace comunicazione (interna ed esterna) assumerà di conseguenza un valore chiave nello sviluppo aziendale. 

3. La comunicazione. All’interno delle aziende, spesso la comunicazione è affidata a persone prive di specifica preparazione: proprio la “finestra sul mondo” della propria attività è stata la più trascurata, proiettando all’esterno un’immagine falsata. Bizzarramente, proprio la comunicazione non ha obbedito alle ferree leggi della iperspecializzazione! Eppure, basterebbe imparare dal mondo della politica! Basterebbe sfogliare la storia per rendersi conto di quanto sia importante la comunicazione! Basterebbe cioè imitare quel mondo per ottimizzare i propri profitti! E invece, le aziende si affidano in modo spesso casereccio a improvvisati della comunicazione: un esempio clamoroso è rappresentato da un episodio imbarazzante che ha coinvolto un noto operatore telefonico. È successo che un “manager” della suddetta grande azienda, per galvanizzare la platea plaudente, ha citato la battaglia di Waterloo come «il capolavoro di Napoleone». Capolavoro di sconfitta, ma lo sciagurato non sapeva. Probabilmente, lo sciagurato era entrato in azienda vantando il pedigree di un master di marketing (che però non prevedeva la storia).

4. La persona di cultura. La selvaggia crisi economica degli ultimi anni ha stimolato l’iniziativa, generando qualcosa di nuovo e positivo nel campo delle relazioni. È avanzata così la necessità di nuove idee, di creare, di innovare (che, in concreti termini aziendali, vuol dire stimolare investimenti, incoraggiare gli acquisti). La consapevolezza di questa nuova filosofia produttiva si sta diffondendo sempre di più in aziende piccole, medie e grandi, “costringendo” a un salutare confronto interno, capace di generare competitività su mercati sempre più agguerriti perché globalizzati. Al centro di questa new age produttiva torna dunque a primeggiare – come nei migliori tempi antichi – la figura della persona di cultura (la cosiddetta “Cultura generale” che svetta come importanza – e come vero e proprio incubo – fra i testi d’ingresso alle facoltà universitarie). Ciò si traduce in una gestione aziendale più accorta e produttiva per imprese che vogliano far affidamento non su robotiche figure monospecializzate, ma su uomini capaci di interagire “culturalmente” sia con l’interno sia con l’esterno. In definitiva, sull’umanista: l’unico attore in grado di sintetizzare le culture dei singoli colleghi della produzione, esternalizzando al meglio le peculiarità dell’azienda stessa.

Concludiamo ricordando che proprio la cultura umanistica, attingendo a piene mani dalla storia, può fornire concretamente spunti tattici e strategici utilissimi non solo a comprendere meglio le complessità della realtà economica e sociale con le quali le aziende si misurano nel quotidiano, ma anche a prevedere e contribuire a dar forma alle dinamiche del futuro.

 

 

Il know-how aziendale come fonte di servizi (e profitti!) verso l’esterno

L’esempio della Porsche Consulting vale anche per le piccole e medie imprese

Ci troviamo spesso a fare inventari fisici dei beni materiali che abbiamo nelle nostre aziende; a tenere una contabilità su quanto gli stessi beni valgono avendo cura di ammortizzarli nel modo più opportuno. Tutto questo ci pare logico e sensato perché edifici, macchinari, scrivanie, computer sono cose che vediamo, che percepiamo concretamente e che possiamo associare in modo diretto al progetto aziendale che stiamo portando avanti.

Le cose cambiano quando iniziamo a parlare di beni immateriali o intangibili che comunque contribuiscono marcatamente al progetto aziendale ed in particolare uno fra tutti: il know-how (il sapere pratico composto da teoria ed esperienza pratica sul campo, nel quotidiano) che rappresenta molto spesso la vera e unicamente originale ricchezza aziendale.

 

Consapevolezza ed uso della vera ricchezza aziendale

Come vengono risolti nel quotidiano i problemi che si incontrano nel comparto produttivo? come si gestiscono le complessità di rapporto con clienti che appartengono a culture e mentalità diverse? come riusciamo a fare si che una determinata procedura di qualità o di riduzione costi venga assimilata nel comportamento quotidiano da parte di tutti? cos’è che l’azienda sta facendo bene e perché? in quale processo sta l’azienda creando valore con il suo sapere? dove risiede il suo sapere veramente originale che le permette di innovare?

Ora vediamo tutto questo da una prospettiva diversa che ci introduce al tema di questo articolo: come tutto questo know-how può essere utilizzato perché possa sia concretamente utile alla riorganizzazione, crescita e sviluppo di altre aziende indipendentemente dalla natura del nostro settore di attività rispetto al nostro?

 

Il caso Porsche Consulting

Nel 1994 il top management della casa automobilistica Porsche si pose una domanda molto simile a questa. L’azienda stava appena uscendo da un periodo piuttosto buio: il celebre marchio stava perdendo un po’ del suo smalto a causa di problemi di qualità e competitività sul mercato. L’integrazione e l’utilizzo di idee e pratiche della ‘lean production’ giapponese migliorarono decisamente il contesto e proprio in quell’anno fu creata la Porsche Consulting che metteva a disposizione il proprio know-how a beneficio di altre aziende. La prima ricompensa per i servizi prestati ad un fornitore produttore di mobili furono sedie e tavoli da ufficio; oggi Porsche Consulting ha alle sue dipendenze 250 persone e un fatturato di circa 55 milioni di Euro mostrando dalla sua fondazione una progressiva crescita annuale del 26 % e riportando ogni anno profitti a due cifre decimali. I clienti rappresentano i settori economici più disparati.

I quartieri generali Porsche Consulting a Stuttgart
I quartieri generali Porsche Consulting a Stuttgart

Nel corso di questi ultimi anni sempre più aziende tedesche, anche di dimensione media e medio piccola, hanno affiancato alle loro tipiche attività di ‘core business’ queste attività di consulenza; questo si è rilevato utile sia da un punto di vista economico e finanziario che nell’accrescere la professionalità non solo di manager ma anche di collaboratori a tutti i livelli aziendali. Infatti, quello che caratterizza questo tipo di attività consulenziali è l’estrema praticità: il rapporto diretto fra persone che pur lavorando in aziende diverse si confrontano con problematiche simili e si pongono in modo naturale su un livello professionale paritetico concentrandosi sulla soluzione e prevenzione dei problemi piuttosto che su formalismi.

 

Una nuova dimensione aziendale

Tutto questo aggiunge una dimensione importante alle dinamiche di sviluppo e crescita aziendale; una dimensione che richiede la presenza di alcuni fattori chiave perché si formi e si sviluppi e che presenta anche dei rischi.

Fra i fattori chiave che devono essere presenti perché un’azienda possa intraprendere il percorso di valorizzazione economica verso l’esterno del proprio know-how, sicuramente abbiamo:

la consapevolezza di cosa si fa, perché lo si fa e come lo si fa;
la consapevolezza di come il nostro metodo di lavoro possa essere utile ad altri;
la capacità di gestire tutta questa consapevolezza nelle dinamiche interne dell’azienda focalizzandola in modo mirato verso l’esterno;
la capacità di trasmettere il sapere in modo pratico umile ed esperto anticipando le reali problematiche del quotidiano dei beneficiari del servizio.

Fra i rischi che si corrono nell’implementazione e sviluppo di attività di questo tipo:

la dispersione di risorse ed energie rispetto alle attività del ‘core business’;
la perdita di know-how a vantaggio di aziende che direttamente o indirettamente potrebbero recare danno al ‘core business’ stesso.

 

Una direzione di sviluppo per tutti

Esplorare questa nuova dimensione aziendale non è facile ma indubbiamente rappresenta un percorso su cui meditare soprattutto perché ci porta a riflettere e valorizzare un aspetto che sempre più caratterizza le dinamiche di continuo cambiamento dell’economica globale: le evoluzioni e gli utilizzi del sapere teorico e soprattutto pratico. Si tratta di una sfida rispetto alla quale ciascuna azienda dovrebbe almeno iniziare a considerare, può essere che soluzioni che si stanno cercando siano proprio in questa direzione.

 

Bibliografia:

Financial Times: “Profits of inside knowledge” By Daniel Schäfer in Frankfurt 4 aprile 2011

INNOVAZIONE INTEGRATA che vince tre campionati del mondo di F1…

Tre INNOVATORI, in tre MODI DIVERSI: Ron Dennis (McLaren); Ayrton Senna e Honda; hanno unito le forze per conquistare tre Campionati del Mondo di Formula 1 (1988, ’89 e ’91).

Senna & Dennis (McLaren) & Honda
Senna & Dennis (McLaren) & Honda

Dal libro si evince perché questo tipo di innovazione integrata porta al successo e anche perché metterla in pratica é più difficile di quanto sembri…

“Più informazione e meno sapere”; dinamiche, rischi e opportunità di internet e delle nuove tecnologie

Un po’ di tempo fa ho letto sul quotidiano ‘El Pais’ * un interessante articolo d’opinone dello scrittore Mario Vargas Llosa dal titolo accattivante: “Mas informacion, meno conocimiento. La imparable robotización humana por Internet cambiará la vida cultural y hasta cómo opera nuestro cerebro. Cuanto más inteligente sea nuestro ordenador, más tontos seremos nosotros” ( Più informazione e meno sapere. La inarrestabile robottizazione umana tramite internet cambierà la vita culturale ed il funzionamento del nostro cervello. Quanto più è intelligente il nostro computer, quanto più sciocchi saremo noi)

Mario Vargas Llosa
Mario Vargas Llosa

Vargas Llosa rifletteva sul contenuto di un recente libro, attualmente in corsa per il Premio Pulizer 2011 / Saggistica  “The Shallows: What the Internet is Doing to Our Brains” di  Nicholas Carr  (titolo italiano: “Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello”) e come è nel suo stile, lo fa in modo diretto e tagliente.

L’effetto Google e la plasticità del nostro cervello

Il tema è di grande attualità e interessa la vita di tutti noi: bambini, adolescenti e adulti, ormai abituati a vivere, lavorare, apprendere tramite internet; uno strumento sempre più onnipresente nel nostro quotidiano. L’aspetto chiave è appunto questo: internet è uno strumento che noi gestiamo o sta divenendo molto di più, qualcosa che di fatto modifica il nostro modo di pensare? La domanda non è banale soprattutto alla luce di recenti scoperte scientifiche che dimostrano la essenziale plasticità del nostro cervello: un tempo si credeva che la struttura del nostro cervello si formasse nei primi anni di vita e  poi si evolvesse però sulla base delle stesse caratteristiche strutturali; oggi sappiamo con certezza che il cervello ha in se una strutturale plasticità: le nostre esperienze quotidiane, le nostre routine, gli strumenti che utilizziamo per informarci e apprendere hanno un impatto diretto e continuo sulla struttura celebrale e di conseguenza su come noi pensiamo a percepiamo. Un altro recente articolo su ‘El Pais’ approfondisce proprio questo tema: “Google ya es parte de tu memoria. El uso de las nuevas tecnologías altera la forma de recordar y aprender – El impacto llega a las conexiones neuronales” (Google fa parte della tua memoria. L’uso delle nuove tecnologie modifica la forma di ricordare e apprendere. L’impatto arriva alle connessioni neuronali) (http://www.elpais.com/articulo/sociedad/Google/parte/memoria/elpepisoc/20110731elpepisoc_1/Tes ). Si chiama effetto Google la tipologia di impatto che l’utilizzo di questo ormai popolarissimo strumento di ricerca e navigazione internet ha sulla nostra mente giungendo a modificarne le connessioni neuronali. Di fatto vari studi hanno dimostrato che le tipiche capacità di memorizzazione si stanno progressivamente perdendo nelle nuove generazioni: si stanno abituando a non memorizzare sapendo che comunque l’informazione è a portata di pochi click sulla tastiera di un computer. Medici e studiosi affermano che questo fondamentalmente non comporta niente di male, se si è comunque consapevoli degli effetti che comporta sulle nostre capacità e se ci concentriamo a sostituire le capacità mnemoniche con quelle procedurali e concettuali di saper utilizzare e collegare informazioni per generare vero sapere.

Apprendere ed esprimersi, cosa sta avvenendo

Ed è proprio su questo punto che sorge il cuore del dibattito stimolato dal libro di Carr. L’autore va alle radici dello sviluppo del sapere, richiamando le riflessioni di filosofi e pensatori appartenuti a varie epoche e costruendo una convincente tesi sul fatto che la tecnologia che utilizziamo per informarci ha in se un’etica: un insieme di convinzioni e aspetti che vengono dati per scontati e che hanno un impatto sostanziale sulla qualità dell’apprendimento che sviluppiamo. Con le tecnologie moderne siamo abituati ad assumere informazioni in modo rapido, frastagliato e disconnesso e tutto questo non stimola lo spirito critico e analitico che è alla base del vero sapere. Carr associa l’etica delle moderne tecnologie di informazione a quella della produzione industriale: rapida costruzione e assemblaggio basato su velocità ed efficienza che rappresentano di per se un fine più che un mezzo. Illustra la sua tesi facendo riferimento a vari studi scientifici affermando come queste emergenti dinamiche del sapere ci stanno abituando a vedere e apprendere in modo molto superficiale comportando di fatto ( proprio per la plasticità del cervello ) la perdita delle nostre capacità di concentrazione, contemplazione e riflessione e questo ha un impatto diretto anche sulla capacità di generare ed esprimere il nostro sapere. Vargas Llosa sottolinea che Carr riconosce l’importanza delle moderne tecnologie d’informazione per permettere alle persone di conoscersi e condividere esperienze aldilà delle distanze e quanto questo abbia potenzialmente un impatto positivo sullo sviluppo di persone, aziende e sistemi economici e sociali nel suo complesso. Ma tutto questo ha un prezzo: radicali trasformazione culturali e operative a livello sociale ed economico, trasformazioni nel modo di pensare, percepire ed agire. Termina la sua riflessione con un allarmante richiamo apocalittico: “Quello che significa, se lui (Carr ndr) ha ragione, è che siamo di fronte alla inarrestabilità del processo di robottizzazione dell’umanità, processo che si sviluppa e si organizza sulla base di un’intelligenza artificiale. A meno che, chiaramente, non si sia un cataclisma nucleare opera di un incidente o un’azione terroristica, che ci riporti all’età della pietra. Allora dovremo iniziare di nuovo e vedremo se questa seconda volta faremo tutto meglio”.

Ricordarsi della differenza fra informazione e sapere

A mio parere non è necessario giungere a questi scenari apocalittici per rendersi conto di quanto stia avvenendo; dobbiamo e possiamo acquisire consapevolezza nel gestire al meglio gli strumenti d’informazione tecnologici, assicurandoci che restino strumenti e non divengano parte integrante di noi stessi. Iniziamo dal non dimenticare mai la differenza sostanziale che c’è fra l’informazione e il sapere. Internet ci tiene sempre informati, in modo efficiente e veloce ci permette di richiamare specifiche informazioni a cui siamo interessati. Da qui al trasformare le informazioni in sapere la rete ci può ancora assistere ma siamo noi che dobbiamo compiere lo sforzo (e questa volta non tanto sulla base dei principi di efficienza e velocità quanto su quelli di efficacia e riflessione nei giusti tempi) per fare gli opportuni collegamenti e trasformare dette informazioni in sapere; un sapere che arricchisca il nostro modo di pensare, percepire ed agire. Questa può essere la strada giusta per un progresso reale dell’intelligenza umana (vista come capacità di rapportarsi con la realtà che ci circonda) che sappia integrare i benefici di progresso dell’intelligenza artificiale, alla ricchezza percettiva ed emozionale delle esperienze e passioni vissute veramente in prima persona. La reale espressione del nostro essere interiore e delle nostre potenzialità creative (aspetti sempre più indispensabili per gestire i periodi di cambiamento e incertezza attuali e futuri) dipendono da tutto questo.

* (http://www.elpais.com/articulo/opinion/informacion/conocimiento/elpepiopi/20110731elpepiopi_11/Tes )

Ayrton Senna l’INNOVATORE… prossimamente una nuova sezione del libro su questo blog…

Prossimamente una nuova sezione del libro sarà pubblicata su questo blog.
Protagonista: AYRTON SENNA. Ayrton fu INNOVATORE nell’intensità e sostanza del suo metodo di lavoro…

Ayrton Senna: talento, professionalità, intensità
Ayrton Senna: talento, professionalità, intensità

Un dinamico senso di produttività che dobbiamo portare anche nelle nostre aziende.
Prossimamente approfondimenti e riflessioni…

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