Da alcuni anni le risorse umane vengono descritte come un aspetto chiave nella gestione strategica aziendale. Si fanno grandi proclami sulla valenza del fattore umano in termini di creatività e innovazione. Ma allora perché, in termini pratici, si continuano a gestire le persone come semplici risorse? Siamo pronti a fare un salto di qualità e rendere la gestione di talenti e competenze un fattore integrante alla strategia aziendale?
FASTCOMPANY è da anni fra i più letti mensili di management e business trends negli USA; stile fresco e sbarazzino, case studies rilevanti e ben presentati, approfondimenti di sostanza; nel tempo tutto questo ha conferito al mensile un’autorevolezza riconosciuta da imprenditori e manager: la rivista non tratta mai argomenti a caso e non si fa problemi a ‘mettere il dito sulla piaga’ in barba anche a fini equilibri accademici o di politica aziendale fra varie funzioni e comparti. Quando la rivista approfondisce un tema lo fa con un linguaggio schietto e diretto (che sicuramente serve a qualcosa ai veri addetti ai lavori di turno) e con cognizione di causa, una causa che è destinata a lasciare un segno nei mesi e negli anni a venire. E’ un mix coinvolgente fra effetti drammatici o comici hollywoodiani e il tipico pragmatismo asciutto e penetrante Made in USA. Quale è stato il tema più controverso e discusso da FASTCOMPANY negli utlimi anni? Il tema che concretamente ha suscitato il maggior dibattito e stimolato le opinioni più sostanziose provenienti da tutti gli ambiti aziendali? Un articolo apparso sul numero di Agosto 2005, titolo “Why we Hate HR? … and how we can fix it” (Perché odiamo la fuzione HR e come risolvere il problema).
HR. Le ragioni dell’odio… e quelle della speranza?
Hate ‘odio’ è una parola forte e non è stata associata a caso all’acronimo HR (Human Resources), inteso come la funzione ‘gestione risorse umane’ svolta in azienda. Infatti, con il crescere della complessità di gestione e sviluppo aziendale, la funzione HR è percepita dalla maggior parte delle persone in azienda (manager, impiegati, operai; e in questo l’articolo trae la sua forza da classico sondaggio molto ampio e articolato) come una vera e propria ‘palla al piede’ allo sviluppo delle idee, ambizioni e strategie stimolate da un mercato in continuo cambiamento. Quali sono i ‘peccati capitali’ dell’imputato che nel corso degli ultimi venti anni non è riuscito a rendere veramente soddisfatto nessuno; anzi ha stimolato questi sentimenti di ‘odio’? HR, come funzione, si distingue soprattutto nel concentrarsi sull’efficienza piuttosto che sul creare reale valore aggiunto, operando in un contesto che si concentra sul breve termine (controllo sulla corretta applicazione delle procedure; riduzione dei costi) rispetto a fattori decisionali e strategici che hanno una valenza nel medio e lungo termine. Si tratta di un’efficienza ‘da ragionieri’ volta a ‘procedurizzare’ tutto senza porsi realmente il problema dell’utilità reale di dette procedure rispetto al complessivo progetto aziendale. Il risultato è che si finisce per scontentare tutti (creando appunto ‘odio’): il management perché è portato a non vedere nella funzione HR un vero partner strategico utile a stimolare le dinamicità di pensiero e azione di cui le aziende hanno oggi bisogno (e semplicemente il tagliare i costi non basta più); i lavoratori perché si sentono oppressi da un modo di gestire standardizzato che non rispetta le peculiarità di ruoli ne di espressione individuale di capacità e talento (tutto questo va contro l’efficienza di creare degli standard di riferimento). HR è divenuta una funzione di protezione dell’azienda nei confronti dei propri collaboratori: come mettere in piedi procedure volte a proteggere gli interessi aziendali nei confronti di possibili cause legate a mobbing o a ‘tagli’ di personale dubbi nella loro logica. In altre parole è una funzione di controllo (assicurarsi che i processi lavorativi fissati dal management siano rispettati e debitamente sanzionati; propriamente definita come ‘gestione del personale’) che a fatica si è evoluta in una funzione di servizio (assicurarsi di concepire e sviluppare pratiche concretamente utili ai costanti cambiamenti aziendali riguardanti la gestione del fattore umano che è ritenuta sempre più al centro della reale creazione di valore aggiunto da parte dell’azienda; propriamente definita come ‘gestione risorse umane’) e che stenta ad evolversi in un ambito più critico e concreto di supporto reale decisionale (concentrandosi appunto sul contribuire a migliorare la qualità delle decisioni prese in azienda valorizzando al meglio i talenti e le capacità che l’azienda ha a disposizione; propriamente definita come ‘gestione del capitale umano’). Si è creato un contesto in cui la funzione HR dovrebbe e potrebbe essere sempre più critica ed importante nell’ambito aziendale e pare non essere in grado (o almeno non mostrare volontà) di evolversi veramente dalle radici di funzione di controllo e servizio verso una dimensione di vero e proprio supporto decisionale volto a far comprendere e trarre il meglio dal fattore ritenuto da sempre più parti come quello realmente critico al successo aziendale nel medio e lungo termine: quello umano. Da notare che l’aspetto più delicato di tutto questo consiste nel riuscire a formare un contesto di cultura aziendale in cui il fattore umano venga realmente e pragmaticamente compreso per il suo valore strategico aldilà di scontate ragioni umanistiche che, purtroppo, non sono mai riuscite a stimolare una reale valenza strategica nella mentalità manageriale.
Andiamo oltre il concetto di HR verso una Nuova Scienza del Capitale Umano… Evolvere HR sulle orme del marketing e del finanziario?
E’ in questo contesto di dubbi, incertezze e necessità di un modo di pensare più fresco ed aperto, che va inserito un libro di recentissima pubblicazione negli USA: “Beyond HR. The New Science of Human Capital” edizioni Harvard Business School Press – 2007 scritto da John W. Boudreau (professore e capo della ricerca presso il Center for Effective Organization dell’University of South California) e Peter M. Ramstad (Vice Presidente della Toro Company). Il libro colpisce per un senso di prospettiva chiaro e stimolante con il quale presenta e sviluppa la propria tesi: il contesto aziendale globale richiede una vera e propria evoluzione della funzione HR; questa funzione se paragonata a più classiche ed affermate funzioni aziendali come il marketing ed il finanziario mostra una reale carenza di strumenti volti a creare valore che siano comunemente comprensibili e conosciuti ad un’ampia audience; quando si parla di marketing o di finanza è ormai automatico pensare a strumenti diffusissimi che rendono queste funzioni più pratiche perché operanti all’interno di un contesto di concetti ed idee di base ormai condivise (ad esempio, quando si parla di marketing, tutti noi abbiamo un’idea dell’argomento, delle sue finalità, dei suoi scopi e di alcuni strumenti che utilizza che sono divenuti una parte integrante del nostro quotidiano); la funzione HR si è evoluta in modo stentato da funzione di controllo a funzione di servizio, e ancora più stentatamente, a funzione di supporto decisionale, proprio per una mancanza di chiarezza condivisa su alcuni concetti, idee e strumenti di base; oggi siamo sempre più pronti a chiarire la natura di queste basi e svilupparle perché sempre più aziende e persone iniziano a percepire la valenza strategica di una corretta gestione del fattore umano. Che cosa rappresenta il fulcro di questa base concettuale? L’aspetto chiave su cui costruire un approccio condiviso destinato, nel tempo, a divenire di comune utilizzo come le tecniche di marketing o quelle di gestione finanziaria? E’ la ‘comprensione e gestione del talento’, ciò che gli autori del libro definiscono come ‘talentship’, il fondamento della Nuova Scienza del Capitale Umano di cui parlano. Per semplicità prendiamo a prestito questo termine, osservando che la ‘talentship’ rappresenta un vero e proprio legame di sostanza fra due necessità: da un lato quella aziendale di sviluppare migliori decisioni per rafforzare concretamente nelle percezioni del mercato il valore aggiunto creato dal proprio lavoro; dall’altro quella umanistica/individuale di riconoscere ed affermare con metodo il contributo di sostanza dato dalle persone alla creazione di questo valore aggiunto. La ‘telentiship’ si basa essenzialmente su questa considerazione: “come azienda, cosa ci serve per eccellere e di cosa abbiamo bisogno per farlo?”. La domanda sembra retorica, quasi banale, in realtà è proprio per questo motivo che non viene mai approfondita veramente e di conseguenza non si riesce mai a catturarne l’importantissima valenza strategica ed operativa. Nessuna azienda oggi può permettersi di essere sul mercato ‘per inerzia’, senza un’articolata strategia che sappia cogliere ciò che rende l’azienda veramente unica nelle percezioni del mercato e di conseguenza ciò che le permette di creare valore aggiunto in dette percezioni. L’azienda può auspicare di continuare ad interagire in modo efficace con il mercato solo se ha ben presente, continua a curare e sviluppare i punti di forza che la distinguono e che il mercato apprezza.
Le ‘sette domande capitali’ per comprendere e sviluppare il fattore umano in azienda
Partendo da questo punto di vista, il libro presenta uno strumento che aiuta a chiarirsi le idee da un punto di vista decisionale e, contemporaneamente, rende la comprensione e gestione del fattore umano (la ‘talentship’) parte integrante del processo decisionale e strategico. Lo strumento è costituito da tre livelli di analisi e sviluppo, nell’ordine: Efficienza, Efficacia ed Impatto. Nell’ambito dell’efficienza l’aspetto chiave è quello degli Investimenti e risponde alla domanda (la prima delle sette) “Quali risorse dobbiamo acquisire e come le dobbiamo distribuire?”. Il prossimo passo costituisce una sorta di ponte fra l’Efficienza (dotarsi delle risorse adeguate allo scopo) e l’Efficacia (assicurarsi che queste risorse vengano propriamente utilizzate); siamo nell’ambito di Politiche e Pratiche di Gestione guidate dalla domanda “Che tipo di programmi e attività dobbiamo implementare?”; da qua sempre all’interno dell’efficacia andiamo a riflettere sul contesto di Cultura e Compentenze “Quali caratteristiche devono avere i collaboratori da un punto di vista collettivo ed individuale?”; prossimo passo nell’ambito delle Azioni e Interazioni volte a dare efficacia al progetto “Le persone come devono comportarsi e cooperare?”; di conseguenza ci concentriamo su un’area che costituisce un ponte fra Efficacia ed Impatto (un tipo di efficacia che effettivamente fa la differenza e che forma le caratteristiche di unicità del lavoro dell’azienda e ne distingue la propria capacità di creare valore aggiunto), siamo in un ambito definito di Organizzatione e Talento guidato da “Quali sono le strutture e i ruoli che dobbiamo migliorare?”. A questo punto ci possiamo concentrare sugli aspetti che danno forza alle capacità di Impatto dell’azienda: Risorse e Processi “Cosa dobbiamo costruire, eseguire e proteggere?” e il Successo Strategicamente Sostenibile “Come intendiamo competere e difendere la nostra posizione sul mercato?”. Queste sono le basi del modello concettuale su cui sviluppare la propria strategia decisionale aziendale e fare della gestione del fattore umano parte integrante di questa strategia. In questo modo si stimola concretamente la funzione HR ad evolversi in una dimensione di reale supporto decisionale basato sulla ‘talentship’. In altre parole, quando sappiamo veramente cosa vogliamo fare e stiamo facendo con il progetto aziendale, siamo in condizione di poter comprendere, sviluppare e utilizzare al meglio le innumerevoli fonti di valore aggiunto apportate da una lungimirante gestione del fattore umano in azienda. Il libro sviluppa in dettaglio questo modello sottolineando la valenza strategica e operativa di abituarsi a saper distinguere ciò che strategicamente è semplicemente importante rispetto a ciò che strategicamente costituisce un vero e proprio fulcro di idee concetti e pratiche volte a distinguere l’azienda in termini di valore aggiunto creato. Questo perché la valenza strategica della ‘talentship’ si manifesta soprattutto rispetto alle aree di fulcro. Il libro presenta alcuni case studies che illustrano in modo efficace questa tesi. E’ fondamentale riuscire a porsi nella prospettiva del cliente, della sua diretta esperienza rispetto al prodotto o servizio offerto dall’azienda allo scopo di comprendere dove una gestione della ‘talentship’ basata su Efficienza, Efficacia e soprattutto Impatto abbia la valenza maggiore.
Tutto questo in termini pratici… l’esempio Toyota
Ma cosa vuol dire tutto questo in termini pratici? Come può tutto questo rendere la funzione HR meno ‘odiata’ e soprattutto promuoverla al livello di reale supporto decisionale? Innanzi tutto vuol dire stimolare il management aziendale ad articolare, in un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti, quali siano veramente gli aspetti strategici che costituiscono un vantaggio competitivo aziendale non solo nel breve, ma soprattutto nel medio e lungo termine. In termini di Efficienza, Efficacia ed Impatto (vedi flusso logico di cui sopra) tutto ciò cosa comporta? Come possono i nostri collaboratori contribuire concretamente allo sviluppo del vantaggio competitivo? Quali specifiche competenze devono avere a sostegno del progetto? Quali attitudini, atteggiamenti, devono mostrare per rendere tangibile il loro apporto di valore aggiunto rispetto al progetto complessivo? E, soprattutto, perché proprio quelle competenze e quegli atteggiamenti? Se non si hanno le idee chiare su questo (o si preferisce non averle o non comunicarle) non è possibile creare una vera e propria politica di gestione aziendale in cui il fattore umano non solo sia integrato ma rappresenti un reale elemento di fulcro strategico. Se questo non avviene possiamo tranquillamente continuare a fare della retorica sull’importanza del fattore umano in termini di creatività ed innovazione per poi semplicemente persistere nel concentrarci sulla gestione delle ferie, delle presenze e via discorrendo. Se questo non avviene, la funzione HR può affermare di essersi evoluta al rango decisionale-strategico, ma in realtà continua più o meno serenamente il suo ruolo di controllo e di servizio come venti anni fa. A questo punto sarebbe almeno auspicabile smetterla con la retorica che a niente serve se non ad affossare ancora maggiormente la credibilità di tante parole e prese di posizione a ‘stimolo e salvaguardia’ dei collaboratori che rappresentano la ‘reale ricchezza aziendale’. Finché in azienda si continuerà a non approfondire le radici di ciò che realmente rappresenta il proprio vantaggio competitivo ed approfondire come la ‘talentship’ possa concretamente contribuire allo scopo, le risorse umane resteranno appunto tali: risorse; pronte ad essere utilizzate come passivi strumenti al servizio di una non ben definita causa altrui che continuerà a fare della funzione HR un semplice braccio operativo armato più o meno efficacemente. Riguardo ad una approfondita comprensione e accurata gestione della ‘talentship’ è molto significativo ed interessante un altro recente libro dal titolo “Toyota Talent. Developing your people the Toyota way” di Jeffrey K.Liker e David P.Meier – edizioni McGrawHill – 2007. Il successo mondiale della casa automobilistica giapponese è ormai consolidato, in termini produttivi è di recente divenuta la numero uno a livello mondiale superando il primato di una sempre più goffa e malata (in termini finanziari e di idee) General Motors. In tutto il mondo Toyota significa innovazione tecnologica e soprattutto qualità e affidabilità. Non male per un’azienda che sbarcata più di quaranta anni fa nel cruciale mercato nord americano con la reputazione di fare auto piccole (una specie di anatema per quel periodo e per quel mercato), a basso prezzo e di dubbia affidabilità. Come è riuscita la Toyota ad affermarsi a questi livelli da origini di immagine internazionale così umili? Con una efficace e lungimirante gestione della ‘talentship’. Toyota molti anni fa identificò il proprio vantaggio competitivo nella qualità e affidabilità del prodotto. Su questo ha creato la sua immagine, la sua reputazione. Fin dall’inizio ha considerato una lungimirante gestione del fattore umano come parte integrante della sua strategia. Come si raggiunge qualità e affidabilità nel prodotto? Dando priorità agli aspetti di comprensione di capacità e talenti individuali ed inserendoli in un contesto formativo in cui detti talenti potevano essere approfonditi e sviluppati nel quotidiano in funzione dei risultati richiesti dalla strategia. Niente è stato lasciato al caso, la funzione HR non si è dedicata semplicemente alla gestione amministrativa del collaboratori bensì ha messo concretamente in campo un metodo formativo sul lavoro chiamato TWI (Training Within Industry) sviluppato dagli americani nel corso della seconda guerra mondiale. Il metodo é basato su una scomposizione quasi maniacale di ciascuna fase lavorativa allo scopo di farla comprendere appieno dal collaboratore guidato e assistito da un tutor con profonde conoscenze pratiche dei metodi di lavoro. Da notare che un principio guida di questo metodo consiste nel raggiungere un livello di standardizzazione (eccellenza) nei risultati valorizzando appieno le caratteristiche di individualità e talento del singolo. In altre parole, poiché l’azienda ha le idee chiare su cosa vuole e perché lo vuole in quel modo, è riuscita a creare un contesto ideale per l’apprendimento collettivo ed individuale che finisce poi per contagiare (con metodo) anche entità esterne all’azienda come ad esempio i fornitori. Questo è il segreto del vantaggio competitivo Toyota attraverso un’efficace gestione dei propri collaboratori.
Quante aziende hanno le idee altrettanto chiare su ciò che vogliono, su come lo vogliono, sul tipo di programmi di sviluppo di talenti individuali al servizio della predefinita causa strategica? Quante aziende stimolano i collaboratori a comprendere la natura del proprio valore aggiunto al processo aziendale? Finché queste aziende non rappresenteranno la maggioranza vorrà dire che la funzione HR non si sarà ancora evoluta al rango strategico-operativo delle funzioni marketing e finanza; vorrà anche dire che tante parole sul valore e l’importanza del fattore umano continueranno ad essere ricche di stancante retorica ed ipocrisia. Retorica ed ipocrisia che minano alla base il necessario salto strategico della ‘talentship’, della gestione strategicamente consapevole e mirata del talento aziendale. Possiamo continuare ad arricchire la funzione HR di sofisticati supporti tecnologici; possiamo continuare a forbire il suo linguaggio in termini sempre più umanistici; ma finché mancherà in termini pratici il rapporto fra una corretta ed articolata descrizione della strategica di valore aggiunto ed il fattore umano, tutto resterà retorica e le persone continueranno ad essere semplicemente delle risorse.